PROGRAMMA
Il sole anche di notte: ninne nanne tra sacro e profano
di Donatella Trotta
Corpo, mente, cuore. L’armonia di un abbraccio fusionale che culla
sino a fermare il tempo. La carezza di una voce femminile che con il suo
timbro familiare fluttua nella penombra, si posa lieve su piccole palpebre
pesanti, titilla orecchie minute tese nell’ascolto, suscita emozioni
tra canto sommesso e preghiera, racconto consolatorio e ringraziamento, poesia
e formula magica, invocazione ed esorcismo. E poi, l’incantamento ipnotico
di cantilene altalenanti tra veglia e sonno, a propiziare - attraverso il
dondolio ancestrale di culle, braccia e nenie modulate dall’amore,
in cerchi concentrici di echi arcaici - quel delicato passaggio della giornata
che scivola nella notte, e nel sogno: «Dormi bene, sogna dolce»,
sussurrano non a caso le mamme tedesche ai loro bimbi.
Le ninne nanne - di qualunque civiltà, epoca o latitudine - conservano intatta la bellezza di un fascino primordiale. Una bellezza tramandata oralmente, con il soffio del respiro simile a quello dello Spirito: la Ruah biblica, che è vento e forza e vita. Nel gergo infantile, sonno si dice appunto ninna, o nanna. Un’assonanza con Inanna - la divinità sumera delle acque, della fertilità e dell’amore, figlia del dio della luna, Nanna - o con il verbo arabo «dormire», che in tunisino è nanni e in egiziano ninne. E persino la lingua indiana, con i verbi «altalenare» (nisna) e «chiudere gli occhi» (navna), sembra rinviare a una radice comune (ni-na): traccia sottile ma profonda di realtà diversissime, nel tempo e nello spazio, e tuttavia collegate simbolicamente con il linguaggio radicale, universale (e trasversale) dell’anima.
Perché le ninne nanne, «madri reverende di tutte le canzoni», come le chiamava il poeta spagnolo Rodrigo Caro, evocano in fondo anche un grande mistero: quello della maternità. Il miracolo della vita che viene alla luce, pure nella notte del mondo. L’enigma del complesso rapporto che si instaura tra madre e figlio. E la scommessa della speranza che risuona (risorge?) ad ogni nuovo vagito. «Ogni bimbo che nasce è segno che Dio non è ancora stanco dell’uomo», diceva il poeta indiano Rabindranath Tagore. Per questo le ninne nanne, sfogo privato di mamme povere e povere mamme nate in ambienti rurali, poi effusione di tenerezza personale in altri contesti e infine rito serale funzionale, tout court, alla tranquillità del sonno dei bambini, possono diventare persino invettiva politica. Come nella celebre «Ninna Nanna de la guerra» di Trilussa, del 1914, musicata nel 1974 da Claudio Baglioni. Oppure, possono adombrare la cifra distintiva di identità locali, nella globalizzazione del mondo: come la malinconia struggente di certe canzoni di culla delle regioni spagnole, raccolte con sapienza poetica e intelligenza emotiva a fine anni Venti da Federico Garcìa Lorca. E, dunque, le ninne nanne sono davvero patrimonio pubblico dell’umanità. Da riscoprire, e tutelare, in tempi ipertecnologici e virtuali di crepuscolo di molte passioni e salde abitudini.
Una canzone di culla, ci ricorda infatti la fine sensibilità intuitiva di Garcìa Lorca, «salta improvvisa dal suo passato all’istante d’adesso, viva e palpitante…e si porta dietro la viva luce delle ore antiche, grazie al soffio della melodia» che riecheggia i suoi «elementi vivi, durevoli (in cui l’attimo non si congela)», immessi con la loro straordinaria energia in un «presente trepidante» (così scrive il poeta in un prezioso librino, Sulle ninne nanne, edito da Salani nel 2005 con un’introduzione di Vivian Lamarque).
Ed è in questo presente che da duemila anni si rinnova inoltre, puntuale, un altro Mistero. Anch’esso vivo e durevole: la nascita del Bambino Gesù in una grotta di Betlemme, origine di quel culto del presepe (etimologicamente: spazio circoscritto da una siepe, proprio come l’angolo della culla in ogni casa) caro a San Francesco d’Assisi e rilanciato, nel cuore della Napoli seicentesca, da san Gaetano Thiene dopo l’apparizione che - secondo tradizione - il fondatore dei Chierici Regolari Teatini ebbe nella notte di Natale del 1517. San Gaetano, proprio quella notte, era in adorazione della culla di Gesù nella Cappella del Presepe di Santa Maria Maggiore, a Roma. E fu lì che, per un attimo, accolse il Bambino tra le sue braccia, dalle braccia della Madonna. Un momento ineffabile che segnò per sempre, con questa visione natalizia, «uno dei motivi ispiratori della iconografia gaetaniana», come ricorda padre Andreu, a sua volta autore di una dolcissima «Ninna Nanna» a Gesù nel Natale del 1952. Vengono in mente i versi di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, il più santo dei napoletani e il più napoletano dei santi, che in «Fermarono i cieli» così canta: «Fermarono i cieli / la loro armonia, cantando Maria / la nanna a Gesù.// Con voce divina / la Vergine bella, / più vaga che stella / diceva così: // Mio Figlio, mio Dio, / mio caro Tesoro, / Tu dormi, ed io moro / per tanta beltà». Parole struggenti d’amore, che prefigurano il più grande dolore. Parole senza tempo di bellezza e dolcezza, consolazione e poesia, che dalla greppia di Betlemme irradiano nel mandala protettivo di qualunque intimità domestica la tenerezza e la spiritualità di un Dio diverso, che da Parola si è fatto carne saldando cielo e terra, umano e divino, passato e futuro: «Quanno nascette Ninno a Betlemme, era notte e pareva miezojuorno...», canta sant’Alfonso nel suo capolavoro, dove il Bimbo diventa «sole d’ammore» a riscaldare i cuori dell’umanità. E non c’è Natale cristiano in cui non riecheggi questa ninna nanna, sulla cui musica di origine popolare il santo scrisse il testo della celeberrima canzone «Tu scendi dalle stelle», mettendo in pratica una tecnica molto antica adottata (prima di tutti) da sant’Ambrogio nei suoi inni: il «contrafactum», poi detto «cantasi come», ossia l’uso di una melodia popolare ben conosciuta per intonare un testo nuovo.
Farne memoria, soprattutto in Avvento, significa far parlare l’amore, e tendere l’orecchio al brusio d’angeli che nel silenzio notturno accompagna tutte le ninne nanne. Sacre e profane. Perché la fede, ci ricordava san Paolo al quale è dedicato questo anno liturgico, passa anche - o soprattutto - per l’udito.
Ad Missam & Concerto Spirituale
NAPOLI domenica 14 dicembre
Basilica di San Paolo Maggiore –
piazza San Gaetano